La sindrome femoro rotulea

La sindrome femoro rotulea è una patologia relativamente frequente nell’ambito sportivo. La sua eziopatogenesi è essenzialmente riconducibile ad un malallineamento dell’articolazione del ginocchio, oppure ad una displasia a carico della rotula e/o della troclea femorale. La gonalgia anteriore che accompagna questa patologia, può rivelarsi altamente limitante nei confronti della pratica sportiva. In particolare, alcune discipline sportive, che prevedano dei piegamenti degli arti inferiori di una certa entità, come ad esempio la danza oppure il sollevamento pesi, possono contribuire, in atleti che posseggano una predispozione di tipo anatomico-funzionale, all’insorgenza della patologia.

La sindrome femoro-rotulea è costituita da un insieme di alterazioni morfofunzionali che determinano l’insorgenza di una gonalgia anteriore. Da un punto di vista eziopatologico le alterazioni che si possono ritrovare alla base della sindrome femoro-rotulea, sono essenzialmente riconducibili ad un malallineamento, oppure ad una displasia della rotula e/o della troclea femorale. Occorre comunque ricordare che le alterazioni funzionali delle strutture anatomiche sovra e sottostanti, come ad esempio le variazioni assiali o rotazionali dell’arto inferiore, oppure le alterazioni morfo-funzionali del piede, possono influire negativamente sulla meccanica dell’articolazione femoro-rotulea. Da un punto di vista anatomico, la rotula è un osso sesamoide, di forma grossolanamente triangolare, posta internamente al tendine del muscolo quadricipite. Meccanicamente la rotula, articolandosi con il solco trocleare del femore, costituisce il fulcro di tutto il meccanismo estensorio dell’arto inferiore. La rotula si trova a contatto con il femore a partire dai 15°-20° di flessione e sino alla flessione articolare completa (Insall e coll., 1983). Sia le superfici articolari della rotula stessa, che quelle del solco trocleare, sono rivestite da una cartilagine articolare spessa mediamente dai 4 ai 6 mm. I normali meccanismi di scorrimento dell’articolazione femoro-rotulea vengono controllati da fattori statici, ossia non contrattili e dinamici, ossia contrattili. I fattori statici sono costituiti dalle dimensioni della rotula, dei condili femorali e dalle loro dimensioni, dalla forma e dall’angolo del solco trocleare e dall’allineamento dell’arto inferiore. I principali stabilizzatori meccanici della rotula sono il muscolo vasto laterale (VL) ed il vasto mediale obliquo (VMO), porzione terminale del vasto mediale che si inserisce con un angolo di circa 55° sul bordo mediale della rotula (Brownstein e coll., 1985). Inoltre, il tratto ileo tibiale ed il capo corto del bicipite femorale, per la loro azione di controllo sulla rotazione tibiale , possono essere, a tutti gli effetti, considerati anch’essi degli stabilizzatori dinamici che concorrono al controllo dell’angolo Q (Kettelkamp, 1981). Nell’ambito della sindrome femoro-rotulea, la biomeccanica articolare riveste un ruolo fondamentale. Infatti, un’anormalità di forma e/o di posizione della rotula stessa, ha una ricaduta diretta sulla sua funzionalità, determinandone un alterato scorrimento nel solco trocleare. Un cattivo scorrimento rotuleo può portare ad un’alterazione cartilaginea comunemente riferita come condrosi od artrosi, la cui eziologia è da ricondursi all’azione di forze compressive non adeguatamente ripartite sull’intera superficie dell’articolazione femoro-rotulea stessa. Un aumento dell’ampiezza dei movimenti in flessione del ginocchio, come richiesto da molte attività ludico-sportive, aumentando l’entità delle forze di compressione a livello femoro-rotuleo, può causare un’alterazione della superficie articolare, riscontrabile anche in individui giovani. Già dal 1964, Outerbridge aveva classificato le lesioni della cartilagine articolare secondo tre diversi gradi:

I° grado: rammollimento e rigonfiamento minore di ½ pollice (1.27 cm)
II° grado: frammentazione e fissurazione maggiore di ½ pollice
III° grado: erosione della cartilagine in direzione dell’osso subcondrale

Anche l’instabilità rotulea può essere classificata secondo tre diversi gradi:

I° grado: lateralizzazione rotulea, a causa dell’aumento dell’angolo Q, durante la contrazione della muscolatura estensoria, si verrà a creare una piccola area di contatto tra la superficie articolare rotulea e quella trocleare. La conseguenza di questa situazione sarà l’insorgenza di una sindrome da iperpressione laterale.

II° grado: accentuata inclinazione della rotula o sublussazione rotulea, nel caso di eccessiva inclinazione rotulea si verifica un ispessimento ed una retrazione del retinacolo laterale associato ad un inspessimento capsulare. Questa situazione determina, nel corso della flessione del ginocchio un’ inclinazione rotulea che esita in un iperpressione laterale. In casi più gravi invece si assiste ad una vera e propria sublussazione laterale della rotula, generalmente provocata da una brusca contrazione del quadricipite a ginocchio esteso. Sublussazoni recidivanti causano, nel lungo periodo, una seria sofferenza della cartilagine rotulea e trocleare.

III° grado: lussazione della rotula, condizione grave che conduce ad una seria e progressiva sofferenza della cartilagine articolare.

Figura 1: la misurazione dell’angolo Q permette di valutare l’allineamento dell’apparato estensore dell’arto inferiore. Nelle ginocchia malallineate il suo valore aumenta o diminuisce rispetto ai valori normali, che peraltro, differiscono leggermente nei due sessi. Inoltre, come è facilmente arguibile dalla figura, un aumentato valgismo del ginocchio comporta un aumento dell’angolo Q stesso.

Clinica e diagnosi

La sindrome femoro-rotulea, di cui si riscontra una maggior incidenza nella popolazione femminile rispetto a quella maschile, è caratterizzata da dolore costante nella parte anteriore dell’articolazione del ginocchio. Talvolta si può verificare uno pseudo-blocco articolare di natura antalgica. L’ampiezza di movimento risulta comunque, nella maggior parte ridotta, a questo si associa un’importante ipotonotrofia del muscolo quadricipite. Nel processo di cronicizzazione possono essere coinvolte le strutture molli articolari come il tendine rotuleo, la borsa sovrapatellare, prepatellare ed anserina, il cuscinetto adiposo infrarotuleo, i retinacoli mediale e laterale, le pliche mediale, laterale e superiore, il nervo safeno a livello del tubercolo degli adduttori od al tendine della zampa d’oca (Roels e coll., 1978; Patel, 1986). Spesso il gonfiore è localizzato nell’area del recesso sovrarotuleo ed è dovuto ad infiammazione del tessuto sinoviale, della borsa sovrarotulea e del cuscinetto adiposo sovrarotuleo. Frequentemente si verificano episodi di cedimento essenzialmente imputabili ad inibizione muscolare secondaria a dolore e/o edema articolare (Brownstein e coll., 1985; Kennedy e coll., 1982). Durante alcune attività, come ad esempio il salire o lo scendere le scale, il paziente può percepire una sensazione di scroscio e crepitio, non sempre associata a sintomatologia dolorosa. Generalmente camminare in salita provoca meno dolore di quanto non si provi camminando in discesa, questo è dovuto al fatto che il ginocchio sotto carico in salita, raggiunge un angolazione pari a circa 50°, mentre in discesa l’angolo di flessione raggiunge circa gli 80° . Tipico è il cosiddetto “segno del cinema”, ossia la sintomatologia dolorosa che il paziente percepisce nella parte anteriore dell’articolazione del ginocchio, dopo aver mantenuto quest’ultimo in posizione flessa per un tempo piuttosto prolungato. All’esame clinico si evoca dolore richiedendo una contrazione isometrica, contro resistenza, in un range compreso tra 0 e 20° di flessione. Inoltre, nell’ambito di un’instabilità di II° grado, il test di apprensione risulta positivo. La radiografia convenzionale, effettuata in diversi angoli di flessione del ginocchio e soprattutto la RM, confermano la diagnosi clinica.

Figura 2: il test di apprensione si effettua con il ginocchio posizionato a 0° di flessione, l’esaminatore deve bloccare lateralmente la rotula con la mano. Nel momento in cui si richieda al soggetto di flettere il ginocchio, la rotula tendendo a sublussarsi, provoca dolore. Un’altra modalità per effettuare il test di apprensione, consiste nel posizionare il ginocchio del paziente a circa 30° di flessione, bloccare lateralmente la rotula con la mano e richiedere l’estensione della gamba. Nei pazienti con grave instabilità questo tipo di manovra provoca, appunto, apprensione, il soggetto infatti, in caso di test positivo, spesso afferra la mano dell’esaminatore, oppure ritrae la gamba.

Figura 3: gli stabilizzatori attivi e passivi a livello rotuleo

Cosa sono il tilt ed il glide rotulei.

Il “tilt rotuleo” rappresenta una misura di natura radiologica, che si effettua avvalendosi di una TC. In pratica, rappresenta l’angolo formato dalla rotula con il piano posteriore dei due condili femorali. La misurazione del tilt rotuleo può riflettere un disequilibrio muscolare sul piano orizzontale, dovuto precipuamente ad una displasia a carico sia del quadricipite femorale, che della troclea. La misurazione deve essere effettuata sia richiedendo una contrazione del quadricipite, che a muscolatura decontratta, con l’articolazione del ginocchio estesa. Fisiologicamente l’angolo deve essere compreso in un range che va dai 10 ai 20°, al di là di questo valore è da considerarsi patologico. Palpatoriamente è possibile effettuare invece il cosiddetto “test del tilt rotuleo”. Il test viene eseguito dall’operatore con il pollice e l’indice , effettuando una palpazione dei margini mediali e laterali della rotula. In caso di test positivo, ossia in presenza di tilt rotuleo, il margine mediale della rotula si trova più in alto rispetto al laterale. In questo caso è possibile effettuare un taping che riduca l’inclinazione rotulea, orizzontalizzando la rotula stessa. Il test deve essere eseguito con l’articolazione del ginocchio completamente estesa ed il quadricipite rilassato; è inoltre essenziale effettuare un test comparativo sull’arto controlaterale. Questo tipo di test si rivela molto sensibile nell’ambito della valutazione del malallineamento rotuleo, tuttavia, occorre sottolineare che un’alterata inclinazione rotulea non necessariamente è sintomatica, e può pertanto essere rilevata anche in pazienti asintomatici che non presentino instabilità del ginocchio, oppure che lamentino dolore secondario ad altri tipi di patologia.
Il “glide rotuleo”, rappresenta invece lo scivolamento della rotula nelle quattro direzioni (mediale-laterale-superiore-inferiore). Il test del glide rotuleo si rivela essenziale al fine di verificare la presenza di rigidità, od al contrario, di un’eccessiva mobilità della rotula. Per poter quantificare lo scorrimento rotuleo è necessario effettuare la misurazione della distanza tra il punto medio del polo rotuleo e gli epicondili femorali mediale e laterale. Queste due distanze, in condizioni di perfetta fisiologicità articolare, dovrebbero essere sovrapponibili, la tolleranza massima dovrebbe pertanto aggirarsi in + 5mm. Un eccessivo glide laterale si traduce infatti in una drastica riduzione della tensione medializzante esercitata dal VMO sulla rotula stessa.
Il test può essere eseguito sia con l’articolazione del ginocchio flessa a 30°, che con il ginocchio in estensione, in entrambi i casi il quadricipite deve essere completamente rilassato. L’operatore deve medializzare e successivamente lateralizzare la rotula, utilizzando il pollice e l’indice, allo scopo di rilevare una possibile alterazione dell’ elasticità tissutale. Per poter meglio quantificare lo spostamento osservabile nel corso del test, la rotula può essere teoricamente suddivisa in quadranti longitudinali. Il glide mediale di un solo quadrante, è indice di una rigidità del legamento alare laterale, ed è solitamente associato ad un test del tilt rotuleo ad angolo negativo.
Un glide laterale di tre quadranti è suggestivo di un’ insufficienza del retinacolo mediale, mentre una scivolamento di quattro quadranti, è un inequivocabile indicatore di grave deficit del legamento alare mediale, e quindi di rotula lussabile.
E’ sempre necessario valutare il glide rotuleo anche in modalità dinamica, richiedendo al paziente delle contrazioni sia eccentriche, che concentriche, della muscolatura estensoria, sia in OKC, che in CKC; in tal modo è possibile verificare l’effetto della contrazione sul posizionamento rotuleo. Come nel caso del test del tilt rotuleo, è sempre necessario eseguire un confronto con l’arto controlaterale. Anche in caso di eccessivo glide laterale esistono dei taping di medializzazione rotulea, che talvolta si presentano come risolutivi, o comunque di grande beneficio, nella riduzione della sintomatologia dolorosa del paziente.

Figura 4 : esempio di un taping correttivo di tilt rotuleo laterale. Il bendaggio parte dal centro della rotula e deve arrivare, dopo aver sollevato la cute dal lato mediale verso la rotula stessa, al condilo femorale mediale, determinando in tal modo un sollevamento del margine laterale della rotula che la renda, sul piano frontale, maggiormente parallela al femore. Il taping può essere eseguito con il ginocchio in completa estensione o leggermente flesso a 20°.


Figura 5 : taping di correzione di un glide laterale. Un eccessivo scivolamento laterale della rotula, può essere corretto mediante l’applicazione di una benda inestensibile sul margine rotuleo laterale, che venga poi tensionata con forza, e fissata immediatamente dietro il condilo femorale mediale. Anche in questo caso il taping può essere effettuato a ginocchio esteso oppure flesso a 20°.

Il trattamento conservativo

Nella fase acuta il trattamento conservativo deve essere essenzialmente rivolto alla diminuzione del dolore ed alla ripresa di una normale funzionalità articolare. Crioterapia, TENS e laser costituiscono le terapie strumentali maggiormente adatte a questo scopo. Parallelamente può essere iniziato un programma di rinforzamento selettivo, tramite ES del VMO, muscolo che si rivela essenziale nel controllo dell’allineamento rotuleo (Grabiner e coll., 1986; Williams e coll., 1986). L’atleta deve, ovviamente, interrompere tutte quelle attività che scatenano la sintomatologia dolorosa. L’utilizzo di un taping e/o di un tutore medializzante, può essere di grande aiuto nella riduzione del dolore. Una volta risolta la fase acuta, la seconda parte del trattamento deve essere basata sul rinforzo selettivo del VMO e sulla detensione del VL e degli ischiocrurali. Durante le esercitazioni per la muscolatura estensoria effettuate in CKC, occorre limitare la flessione articolare per evitare di provocare un eccessiva pressione sull’articolazione femoro-rotulea.

Figura 6: numerose anomalie anatomiche, come l’iperpronazione del piede, il valgismo del ginocchio, un’anomala rotazione tibiale, oppure un’antiversione femorale, determinando un aumento dell’angolo Q, possono essere all’origine della sindrome dolorosa femoro-rotulea.

Figura 7: falso varismo del ginocchio dovuto alla “sindrome della doppia rotazione”(riquadro A). La situazione si normalizza nel momento in cui il soggetto diverge le punte dei piedi (riquadro B). 

Riabilitazione e ritorno dell’attività sportiva

La sindrome femoro-rotulea è purtroppo molto spesso di difficile gestione con il trattamento di tipo conservativo e talvolta necessita di una procedura chirurgica di riallineamento. In ogni caso il ritorno all’attività sportiva è subordinato alla scomparsa, o comunque alla drastica riduzione, della sintomatologia dolorosa.

 La sindrome femoro rotulea

Riquadro A

Riquadro B

Riquadro C

Figura 8: per ottenere un’attivazione selettiva del VMO occorre in primo luogo lavorare sugli ultimo gradi del leg extension (0- 30°) mantenendo la punta del piede extraruotata od, ancor meglio, il piede supinato (riquadro A). Inoltre, flettendo il busto in avanti, si inibisce l’intervento del RF, focalizzando ancor di più l’azione sul VMO (riquadro B). La massima attivazione elettromiografica del VMO, si ottiene comunque effettuando contemporaneamente una contrazione isometrica della muscolatura adduttoria, ottenibile, ad esempio, stringendo tra le gambe una palla (riquadro C). La contrazione degli adduttori, infatti, inibisce l’azione del VL, massimalizzando ulteriormente l’intervento del VMO nel movimento di estensione della gamba sulla coscia.

I 6 punti importanti di un programma conservativo…

1.Controllare il dolore e la flogosi: il dolore, l’infiammazione ed il versamento a livello articolare, costituiscono tre fattori d’aggravamento della patologia in quanto inibiscono un ottimale reclutamento del quadricipite, aggravando ulteriormente il quadro clinico. Occorre pertanto controllarli grazie all’utilizzo di FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei), bendaggi compressivi, ghiaccio e adeguate terapie fisiche, come ad esempio la magnetoterapia e la ionoforesi. E’inoltre necessario ridurre il sovraccarico funzionale al quale viene sottoposta l’articolazione del ginocchio, diminuendo o, se necessario, sospendendo l’attività sportiva.
2. Effettuare un piano di lavoro specifico per il rinforzamento del quadricipite femorale, sia attraverso esercizi isometrici che isotonici. Soprattutto, è fondamentale rinforzare selettivamente il VMO. Se si eseguono esercizi in catena cinetica chiusa, come ad esempio lo squat, è importante evitare l’eccessiva flessione del ginocchio.
3. Lo stretching: è molto importante cercare di allungare sia i muscoli del polpaccio,dal momento che una loro retrazione comporta una pronazione compensatoria del piede che a sua volta causa un aumento dell’intrarotazione tibiale con conseguente ipersollecitazione rotulea , sia gli ischio-crurali, il tensore della fascia lata, la benderella ileo-tibiale ed il quadricipite.
4. Migliorare lo scorrimento rotuleo: lo scorrimento della rotula si può migliorare tramite una sua mobilizzazione mediale passiva, allo scopo di detendere una struttura stabilizzatrice denominata retinacolo laterale. Alcuni Autori suggeriscono anche il taping rotuleo al fine di riottenere un ottimale riallineamento rotuleo e facilitarne lo scorrimento.
5. Si deve correggere un’eventuale iperpronazione che, come detto precedentemente, può essere la causa dell’insorgenza della patologia rotulea, in questo caso occorre valutare l’opportunità di intervenire tramite ortesi plantare.
6. Effettuare un lavoro di rinforzo dei muscoli extrarotatori (grande gluteo, medio gluteo, piriforme).

 

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a cura di: Bisciotti Gian Nicola Ph.D.