Approfondimento sulla pubalgia dell’atleta

 

Introduzione

La pubalgia rappresenta una problematica molto diffusa in ambito sportivo sia a livello amatoriale, che professionistico. Tuttavia, il termine “pubalgia” (o groin pain se si vuole adottare la terminologia anglosassone) descrive, di fatto, un sintomo od una coorte di sintomi, caratterizzati da dolore nella zona pubica, e non rappresenta di per sé una diagnosi. La pubalgia costituisce, ad oggi, un problema clinico la cui patofisiologia appare ancora non perfettamente chiara. Una delle ragioni di questa difficoltà diagnostica è rappresentata dalla complessità anatomica dell’area pubica e dal frequente sovrapporsi, nel quadro clinico, di differenti patologie (1). Il termine “pubalgia”, come ben sottolineano alcuni Autori, risulta piuttosto ambiguo, se non addirittura semplicistico e comunque sicuramente non adatto alla complessità del problema medico in oggetto. Risulterebbe sicuramente maggiormente adatto il termine anglosassone di “groin pain syndrome” (2). Nonostante questa mancanza di chiarezza terminologica la pubalgia è passata dall’essere una tipica patologia dei soli atleti di alto profilo prestativo, al divenire una problematica diffusa a tutti i livelli. La pubalgia interessa infatti per lo più atleti di livello intermedio. Questo è dovuto principalmente al fatto che gli atleti di livello prestativo medio, spesso non posseggono un livello di condizione atletica sufficientemente adeguato ed altrettanto frequentemente trascurano ogni tipo di programma preventivo, nonostante ciò la richiesta funzionale durante l’attività rimane relativamente elevata, favorendo in tal modo l’insorgenza della patologia (3). La prima descrizione di pubalgia, risalente a più di settanta anni fa, è da accreditarsi a Spinelli, che la osservò e descrisse in un gruppo di giovani schermitori (4), da allora la pubalgia divenne, ed è tuttora, un soggetto controverso che si ben si presta, per la sua natura, a diverse interpretazioni concettuali (5-6). Le attività sportive che mostrano, da questo punto di vista, il maggior rischio d’insorgenza sono rappresentate in Europa principalmente dal calcio, seguito ad una certa distanza da hockey, rugby e dalle specialità di fondo e mezzofondo nell’ambito dell’atletica leggera (7-16). Tuttavia, è importante considerare il fatto che nessuna delle pubblicazioni citate che riportano tali dati, correla l’incidenza della problematica con il numero dei praticanti per specialità. Inoltre., molti di questi studi non dovrebbero, a rigore, essere considerati se si adottassero i criteri valutativi minimi necessari ad una meta-analisi (17).

Molti dei movimenti tipici del calcio possono in effetti favorire l’insorgenza della pubalgia. Tra questi possiamo annoverare i balzi, il dribbling, tutti i movimenti di rapido cambiamento di senso e direzione, lanci lunghi e tiri, i takles effettuati in scivolata con arti inferiori abdotti e muscolatura adduttoria contratta. Tutte queste situazioni rappresentano delle cause di elevato stress a livello della sinfisi pubica, in grado d’innescare un meccanismo di stress sinergico tra la muscolatura adduttoria e quella addominale (18). Inoltre, il calciare ed il correre su superfici irregolari, come molto spesso avviene nei campi da calcio di categorie dilettantistiche, rappresenta un ulteriore e non sottovalutabile fattore di stress funzionale (18-19). E’ anche importante ricordare la teoria formulata da Maigne (20), basata sullo squilibrio funzionale che spesso è osservabile a livello della biomeccanica della colonna dei giocatori di calcio. Secondo questa teoria il calciatore si troverebbe ad espletare la sua attività mantenendo, suo malgrado, un costante atteggiamento iperlordotico, necessario all’ottimizzazione della visione di gioco, atteggiamento che si accentuerebbe ancor di più nell’atto del calciare. Quest’alterazione della biomeccanica della colonna creerebbe una situazione di conflitto meccanico a livello del passaggio dorso lombare, nonché un possibile conflitto tra le articolazioni vertebrali ed i nervi genito-addominali responsabili dell’innervazione sensitiva della zona pubica. Questa teoria giustificherebbe l’alta incidenza di pubalgia nei calciatori riportata da numerosi Autori (21-22).

La classificazione clinica

In funzione dei diversi tipi di lesione e dei vari sintomi riferiti dal paziente sono individuabili diversi tipi pubalgia, ovviamente determinate da altrettanto diverse cause. Molto spesso un’inaccurata diagnosi comporta un inadeguato percorso terapeutico che, a sua volta, può esitare in una problematica disabilitante che costringe l’atleta ad una lunga sospensione dell’attività, se non al suo abbandono. Dalla nostra esperienza spesso l’inesattezza dell’analisi clinica è da addebitarsi al frequente sovrapporsi di diversi quadri clinici in uno stesso soggetto. Ad avvalorare questa tesi concorre il fatto che alcuni Autori (16-23) annoverano da 15 a ben 72 diverse cause di pubalgia, che includono principalmente patologie muscolari e tendinee (tendinopatie inserzionali, calcificazioni ectopiche, avulsioni, ernie) ma anche problematiche ossee ed articolari, come fratture da stress, osteocondrosi, osteonecrosi, infezioni, ed anche affezioni tumorali, borsiti, intrappolamenti nervosi e dolore di origine viscerale.

Considerando e sottolineando ancora l’importanza fondamentale di una corretta diagnosi, il primo passo in questa direzione è quello di adottare un corretto e razionale quadro nosologico di riferimento. Uno dei quadri di riferimento maggiormente sistematico, e nel contempo pratico, è quello derivante dai lavori di Brunet (24) e di Durey e Rodineau (9).

Secondo l’opinione e l’esperienza clinica di questi Autori la pubalgia dello sportivo è riconducibile a tre differenti quadri anatomo-clinici spesso tra loro associati, ossia:

  1. La patologia parieto-addominale, che interessa la parte inferiore dei muscoli larghi dell’addome (grande obliquo, piccolo obliquo e traverso) e gli elementi anatomici che costituiscono il canale inguinale; 
  1. La patologia dei muscoli adduttori, che riguarda prevalentemente la loggia superficiale, ossia l’adduttore lungo ed il pettineo; 
  1. La patologia a carico della sinfisi pubica. 

Interessante e degna di nota è anche la teoria di Bouvard e coll. (1) che hanno recentemente riproposto una rivisitazione della classificazione di Brunet e di Durey e Rondineau (9-24). Questi Autori, propongono di definire con il termine di pubalgia, un’unica patologia, caratterizzata da una sintomatologia dolorosa della zona pubica, derivante dalla pratica sportiva che raggruppa, in modo isolato od associato, quattro forme cliniche:

  1. L’osteoartropatia pubica che interessa l’articolazione sinfisaria e le branche ossee ad essa adiacenti, la cui eziologia è principalmente imputabile a microtraumatismi ripetuti. In questo caso l’analisi clinica permetterà di differenziare le sofferenze della sinfisi di eziologia microtraumatica dalle rare osteo-artriti pubiche infettive (10-25-26). In questo quadro clinico, le alterazioni ossee possono essere talvolta molto evidenti, presentandosi sotto forma di erosioni, oppure di veri propri “colpi d’unghia”, a volte con presenza di frammenti ossei. Occasionalmente le erosioni possono presentarsi in modo così marcato e vistoso, tanto da far comprendere, nella diagnosi differenziale, anche le osteopatie erosive neoplastiche (27). 
  1. Le sofferenze del canale inguinale, la cui diagnosi fu per la prima volta formulata da Nesovic (28), arbitrariamente denominate“sport ernia”, dal momento che non esiste in questo caso una vera e propria ernia, (9,29,30). Anche altri Autori riferiscono di un’alta percentuale, che va dal 36 all’84%, di ernie non palpabili nelle forme ribelli di pubalgia che presentano sintomi simili alla patologia erniaria (31-36). Alcuni Autori, in sostituzione al termine di “sport ernia” hanno preferito utilizzare quello di “groin disruption” (37). In questo ambito ricadono tutte le sintomatologie dolorose causate da dei difetti anatomici della parete posteriore del canale inguinale, nella quale la muscolatura striata è assente, e che indicherebbero delle zone di debolezza della fascia trasversale (29). Le sofferenze della parete posteriore del canale inguinale, possono essere evidenziate attraverso l’ecotomografia (38-39), anche se occorre ricordare l’importanza storica di un esame come l’erniografia, ormai abbandonato a causa della sua invasività (11, 32, 33). Tuttavia esistono anche delle lesioni della parete anteriore del canale inguinale, come le sofferenze e/o le lesioni del tendine congiunto del muscolo obliquo esterno (40), che possono occasionalmente comportare delle sofferenze da entrapment dei rami nervosi del nervo ileo-inguinale ed ileo-ipogastrico (6, 17, 29, 35, 38, 41). Inoltre, in questo secondo gruppo ritroviamo, oltre alle già citate lesioni del tendine congiunto e dell’aponevrosi dell’obliquo esterno, le lesioni legamento inguinale e quelle della fascia trasversale (14, 38, 41,42, 43, 44, 45); 
  1. Le tendinopatie inserzionali del retto addominale (9, 12,46, 47, 48) ; 
  1. Le tendinopatie inserzionali e pre-inserzionali degli adduttori, passibili di complicazione attraverso la sindrome del canale del nervo otturatore (35, 49, 50).

Molto vicina a questa classificazione clinica, soprattutto in termini di razionalità nosologica, è la classificazione proposta da Benazzo e coll. (18), che suddivide i possibili quadri clinici in tre gruppi:

Gruppo I: costituito dalle tendinopatie inserzionali dei muscoli adduttori e/o dei muscoli addominali, occasionalmente associate ad un’osteoartropatia pubica, di origine verosimilmente microtraumatica. Il danno anatomico di base, sarebbe costituito da una distrazione muscolo-tendinea inserzionale degli adduttori riguardante, nella maggior parte dei casi, l’adduttore lungo con un possibile interessamento del retto addominale a livello della sua inserzione distale. A questo quadro si può inoltre associare un’alterazione ossea secondaria della sinfisi pubica. Questo tipo di lesione sarebbe, secondo gli Autori, quella maggiormente diffusa nell’ambito del calcio.

Gruppo II: in questo gruppo ritroviamo le lesioni, di varia rilevanza e natura, della parete addominale, ed in particolar modo del canale inguinale, come l’ernia inguinale vera, la debolezza strutturale della parete posteriore del canale inguinale e le anomalie del tendine congiunto.

 Gruppo III: questo gruppo comprende tutte le cause meno frequenti di pubalgia, che non sono direttamente riconducibili a patologie a carico della parete addominale. In questi quadri, che gli Autori definiscono con il termine di “pseudo-pubalgici”, ritroviamo: distrazioni o lacerazioni dell’ileopsoas, del quadrato del femore, dell’otturatore interno, sindromi da compressione nervosa (soprattutto a carico dei nervi ilioinguinale, femorocutaneo, femorale , perineale, genitofemorale), compressione dei rami perforanti dei muscoli retti addominali, patologie delle radici anteriori (sindrome della cerniera). Nell’esperienza degli Autori una condizione, ascrivibile a questo gruppo, e relativamente frequente nel calcio, è costituita dalla sindrome da intrappolamento del nervo otturatore, la cui patogenesi, anche se non ancora chiaramente definita, sembrerebbe riconducibile ad un processo di tipo infiammatorio a carico della fascia, che potrebbe a sua volta causare una compressione della branca anteriore del nervo otturatore a livello del suo passaggio al di sopra del muscolo adduttore breve. In questo gruppo gli Autori includono inoltre le lesioni di tipo osseo, come l’ostetite pubica, le fratture da stress a carico delle ossa iliache e della testa del femore, le lesioni da stress o diastasi della sinfisi pubica, le osteocondriti disseccanti,le osteomieliti e le patologie tumorali.

Oltre a questi due tipi di inquadramento clinico, ritroviamo, comunque, molti Autori che considerano ancora la pubalgia, alla stregua di un’entità clinica “unica” che si riassume, sia in una patologia del canale inguinale (14, 8, 44, 51), sia in una tendinopatia adduttoria inserzionale (17, 52), che in un’osteo-artropatia pubica (53).

Tuttavia, alcuni studi (44,54), effettuano una distinzione tra le cosiddette “pubalgie vere”, vere e proprie patologie pubiche passibili di eventuale trattamento chirurgico, e le “false pubalgie”, che sarebbero costituite dalle tendinopatie inserzionali e dalle osteo-artropatie pubiche, dall’ernia, dalla sport ernia e dall’intrappolamento nervoso, che dovrebbero, a detta di tali Autori, essere considerate nell’ambito della diagnostica differenziale. Inoltre, occorre ricordare come altri Autori (55) non concordino con la diagnosi di patologia del canale inguinale contemplata come eziologia isolata ma, al contrario, la considerino come associata ad un quadro pubalgico più generale. Al di là di questo, è importante sottolineare che le forme inguinali, concernono quasi esclusivamente la popolazione maschile, e come quest’ultima sia costituita per il 70% da calciatori, seguiti dai giocatori di hockey, dai rugbisti e dai corridori di fondo (14, 2, 56). Tuttavia, altri Autori ancora considerano che il termine pubalgia, debba essere utilizzato esclusivamente per quello che concerne le lesioni parietali, e che tutte le altre forme abbiano una diversa e ben specifica nomenclatura. Secondo questi Autori (2, 49, 57), tra tutte le forme non parietali, le principali sarebbero:

  1. Le tendinopatie del retto addominale. 
  1. I danni muscolari e tendinei dell’adduttore lungo, del pettineo e del gracile (entesopatie, tendinopatie, lesioni della giunzione muscolo-tendinea o, più raramente, del ventre muscolare). 
  1. I danni a livello del muscolo ileopsoas. 
  1. Le osteo-artropatie pubiche 
  1. Le fratture da fatica del pube 
  1. Le patologie coxo-femorali 
  1. La sindrome intervertebrale di Maigne
    [1], anche se quest’ultima presenta, comunque, un’incidenza ben più rara (49).

Anche altri Autori, si allineano, in un certo qual modo, a questa visione clinica. Secondo Gilmore (14, 29), nel quadro clinico da lui definito con il termine di “groin pain disruption”, è possibile ritrovare sia una lesione del tendine congiunto, sia una disinserzione di quest’ultimo sul tubercolo pubico, che una lesione dell’aponeurosi dell’obliquo esterno, oppure una deiscenza tra il tendine congiunto ed il legamento inguinale. Oltre a ciò, nel 40% dei casi si assocerebbe una debolezza della muscolatura adduttoria.

Secondo Albers (59), in ben il 90% dei casi di pubalgia trattati chirurgicamente, è possibile riscontrare una protrusione focale della fascia, altrimenti definibile con il termine di “bulging”. In particolare è frequente rilevare un’inserzione anormalmente alta del tendine congiunto. Per questi motivi l’Autore sottolinea il fatto che la pubalgia sia dovuta ad un anormalità pubalgiaco-addominale miofasciale (Pubalgic Abdominal Myofascial Abnormality, PAMA). Abbracciando la tesi che vede il termine pubalgia, utilizzabile solamente nel caso di patologia parietale, e dal momento che, a livello bibliografico, si ritrova un diffuso consenso sui fattori dominanti nel quadro pubalgico, (i.e. deiscenza dell’anello inguinale, deficienza della parete posteriore del canale inguinale, groin pain disruption e PAMA), il termine pubalgia, secondo Vidalin e coll.(2) potrebbe essere, a tutti gli effetti, sostituito con quello, per loro maggiormente adatto di “insufficienza parietale mio-aponevrotica profonda”

In ogni caso, dal momento che il “concetto chiave” è, e deve rimanere, il fatto che il termine di “pubalgia”, o l’equivalente anglosassone di “groin pain”, rappresentino solamente la descrizione di un sintomo e non indichino una diagnosi, è nostra profonda convinzione che parlare di “pseudo-pubalgia” o “pseudo groin pain” rappresenti un grave errore concettuale. Per questo motivo, a nostro avviso, attualmente la classificazione clinica di maggior razionalità è quella proposta da Omar e coll. (59). Nella loro classificazione gli Autori propongono di basare la diagnosi su 37 patologie principali suddivise in 10 diverse categorie (Tavola 1).

Categoria I: cause viscerali

Ernia inguinale

Altri tipi di ernie addominali

Torsione testicolare

 

Categoria II: cause associate all’articolazione coxo-femorale

Lesione del labbro acetabolare ed impingement femoro-acetabolare

Osteoartrosi

Anca a scatto e tendinopatia dell’ileopsoas

Necrosi avascolare

Sindrome della bandeletta ileotibiale

 

Categoria III: cause pubico-sinfiseali

Lesioni del retto addominale

Disfunzioni dell’unità muscolo-tendinea dei muscoli adduttori

Lesioni dell’aponeurosi comune del muscolo retto addominale e dell’adduttore lungo

Osteite pubica

 

Categoria IV: cause infettive

Artrite settica

Osteomielite

 

Categoria V: patologie infiammatorie pelviche

Prostatite

Epididimite ed orchite

Herpes

 

Categoria VI: cause infiammatorie

Endometriosi

Patologie infiammatorie intestinali

Patologie infiammatorie pelviche

 

Categoria VII: cause traumatiche

Fratture da stress

Avulsioni tendinee

Contusioni muscolari

Baseball pitcher–hockey goalie syndrome

 

Categoria VIII: cause connesse allo sviluppo

Apofisiti

Lesioni da stress o fratture dei piatti di accrescimento

Sindrome di Legg-Calvé-Perthes

Displasia

Epifisiolisi

 

Categoria IX: cause neurologiche

Sindrome da intrappolamento nervoso

Dolore riferito

Sacroileite

Intrappolamento del nervo sciatico (sindrome del piriforme )

Lesione degli ischio crurali

Anterior knee pain

 

Categoria X: cause neoplastiche

Carcinoma testicolare

Osteoma osteoide

 

Tavola1: le differenti cause di pubalgia proposte da Omar e coll (59)

 

Sintomi, clinica e diagnosi

La sintomatologia è bilaterale nel 12% dei casi, interessa la regione adduttoria nel 40% dei casi e l’area perineale solamente nel 6% dei casi (14). L’insorgenza algica si presenta in modo insidioso nei 2/3 dei pazienti ed in modo acuto nel restante 1/3 (14). Il quadro clinico è caratterizzato da una sintomatologia soggettiva ed oggettiva. I sintomi soggettivi sono rappresentati principalmente da dolore e deficit funzionale (60, 61). L’intensità della sintomatologia algica presenta un’ampia variabilità che può andare da una semplice sensazione di fastidio, sino ad un dolore acuto. Non sono infrequenti casi in cui la sintomatologia algica è tale de inficiare le normali attività di vita quotidiana come il camminare, il vestirsi, lo scendere dal letto; talvolta il dolore può essere così acuto da perturbare il sonno. La sintomatologia algica può insorgere durante la competizione o l’allenamento, come può essere presente già prima dell’espletazione dell’esercizio fisico. In altri casi il dolore può essere presente prima dell’esercizio fisico per poi sparire durante la fase di riscaldamento, oppure riapparire alla fine della sessione di lavoro o la mattina successiva. Spesso la sintomatologia dolorosa può seriamente precludere la performance. Il dolore può irradiarsi in basso verso la zona adduttoria, oppure in alto verso l’area addominale, od ancora in direzione del perineo e dei genitali. Questa mappatura ubiquitaria della sintomatologia algica è spesso la causa di possibili errori diagnostici (61). Il deficit funzionale è ovviamente correlato all’intensità della sintomatologia dolorosa. Da un punto di vista obiettivo il paziente può lamentare dolore alla palpazione, alla contrazione muscolare contrastata e durante lo stretching passivo ed attivo. L’esame clinico si deve quindi basare su tutta una serie di test incentrati su contrazioni muscolari (isometriche, concentriche ed eccentriche) e su manovre di stretching attivo e passivo (62-65). In quest’ambito è anche importante osservare come il paziente si muova, cammini, si svesta e rivesta (66). Occorre infine sottolineare come un attento esame clinico del canale inguinale e della parete addominale in toto sia di fondamentale importanza.

Imaging

L’esame radiologico può esser di grande aiuto nella formulazione della diagnosi. E’ sempre consigliabile effettuare una proiezione radiografica convenzionale della pelvi in ortostasi in proiezione anteroposteriore, al fine di evidenziare possibili erosioni ossee, una dismetria delle branche pubiche, un’osteoartosi (possibile anche in soggetti giovani) una patologia a carico del’articolazione coxo-femorale (ad esempio un conflitto femoro-acetabolare di tipo CAM-FAI, PINCER-FAI od una forma mista), tumori, fratture da stress (anche se in questo caso la sensibilità della Rx convenzionale non è elevata), fratture da avulsione o patologie tumorali (67-69). Sempre per ciò che riguarda l’utilizzo della radiologia convenzionale è importante sottolineare l’importanza di alcune proiezioni specifiche effettuate in appoggio monopodalico alternato (le cosiddette “flamingo views”) nella formulazione della diagnosi di instabilità sinfisaria. La diagnosi d’instabilità sinfisaria può essere formulata nel caso in cui si riscontri un offset verticale maggiore di 3 mm tra le branche pubiche (51, 70, 71, 72).

L’esame ecotomografico (US) rappresenta la scelta d’elezione nel caso di sospetto di ernia inguinale. Attraverso l’US si possono apprezzare anche eventuali aree edematose, ematomi (nel caso franche rotture del tessuto muscolare o tendineo), aree di degenerazione mixoide, metaplasia condrale, metaplasia calcifica od aree fibrotiche (36-73). Inoltre, l’US presenta il grande vantaggio di poter essere effettuata in condizioni dinamiche, premettendo così l’indagine dello scorrimento miofasciale, della presenza di ernie inguinali o di sport ernie (debolezze della parete posteriore del canale inguinale senza la presenza di una vera e propria ernia), le quali, spesso, possono essere messe in evidenza solamente attraverso una manovra di Valsalva.

La scintigrafia ossea è un esame che presenta in questo contesto un’alta sensibilità ma una bassa specificità. Infatti, ogni tipo di lesione ossea a livello della sinfisi – di eziologia traumatica, tumorale od infettiva – comporta un ipercaptazione a livello sinfisario (36, 74, 75). Tuttavia, nonostante la sua indubbia bassa specificità diagnostica, una normalizzazione di una precedente ipercaptazione osservata dopo trattamento conservativo, può avere un certo ruolo discriminante nell’ambito della decisione per il possibile ritorno all’attività sportiva (74,76; 77).

La risonanza magnetica è considerato l’esame gold-standard grazie alla sua capacità di fornire informazione dettagliate concernenti le strutture ossee, tendinee e muscolari (8, 36, 68, 71). Tuttavia, l’impossibilita’ di effettuare esplorazioni dinamiche, e’ un fattore alquanto limitante e che, sovente, richiede l’integrazione con un esame ultrasonografico, specialmente per patologie della parete addominale e del canale inguinale.

I fattori predisponenti 

Esisterebbero dei fattori intrinseci ed estrinseci, che potrebbero predisporre l’atleta all’insorgenza della pubalgia.

Tra i fattori intrinseci, quelli che raccolgono il maggior consenso tra i vari Autori, (1, 10, 39,78, 79, 80, 81, 82, 83, 84)sarebbero:

  1. Una patologia a carico dell’anca o dell’articolazione sacro-iliaca; 
  1. Una franca asimmetria degli arti inferiori; 
  1. Un’eccessiva lordosi lombare; 
  1. Uno squilibrio funzionale tra muscoli addominali e muscolatura adduttoria: la muscolatura addominale si rivelerebbe debole se rapportata alla muscolatura adduttoria che, al contrario, si presenterebbe forte ed eccessivamente rigida. In altri casi ad una muscolatura addominale debole si abbinerebbe una muscolatura adduttoria altrettanto debole ma estremamente contratta; 
  1. Una debolezza costituzionale della muscolatura adduttoria ; 
  1. Una muscolatura ischio-crurale poco elongabile; 
  1. Una storia di precedenti lesioni ossee, muscolari o tendinee; 
  1. -Le coxopatie, sia che risultino essere malformative, oppure di tipo degenerativo, costituiscono un fattore peggiorativo supplementare.

E’ importante sottolineare il fatto che alcuni Autori (85), propongono come causa intrinseca, a nostra opinione molto avvedutamente, un deficit della muscolatura del Core e/o un alterato pattern di reclutamento del muscolo trasverso dell’addome. Inoltre occorre ricordare che in letteratura, ad oggi, si ritrova un acceso dibattito concernente l’età anagrafica ed il livello di esperienza sportiva individuale quali possibili fattori di rischio nell’insorgenza della pubalgia (85-87).

Tra i principali fattori estrinseci(24, 28, 48, 88,89, 90) possiamo annoverare:

  1. Inadeguatezza dei materiali utilizzati: un esempio tipico nell’ambito del calcio è costituito dall’utilizzo di tacchetti troppo lunghi su terreni secchi, oppure troppo corti in caso di terreni morbidi (3);
  1. Inidoneità del terreno di gioco (48, 88); 
  1. Errori nella pianificazione dell’allenamento.(90).

Tuttavia, in letteratura non vi è una forte evidenza che confermi un’associazione causale tra i fattori intrinseci ed estrinseci sopra elencati e l’insorgenza della pubalgia. La maggioranza degli studi è infatti basata su congetture, opinione di esperti o case series.

Una delle maggiori cause di pubalgie dell’atleta sarebbe quindi una combinazione di contrazioni muscolari eccessive e/o scorrette a livello della muscolatura adduttoria ed addominale. Non dobbiamo però dimenticare l’importanza che rivestono nell’insorgenza della patologia anche gli stress a livello osseo causati da torsioni ed impatti che si verificherebbero durante la corsa, da movimenti violenti effettuati con scarso controllo muscolare (come ad esempio tiri, tackles, cambiamenti di direzione ecc.) e da costrizioni meccaniche, soprattutto di tipo torsionale, della sinfisi pubica(12, 39, 88, 90, 91).

La maggioranza degli Autori concorda con il fatto che, in condizioni di normalità funzionale, i muscoli dell’addome e la muscolatura adduttoria, hanno una funzione antagonista ma biomeccanicamente equilibrata.

Nelle pubalgie esisterebbe un disequilibrio tra adduttori troppo potenti e muscoli larghi dell’addome di tonicità insufficiente, oppure adduttori estremamente rigidi e poco elongabili che esercitano una trazione abnorme a livello del bacino. Di fatto, questo disequilibrio funzionale si ripercuoterebbe negativamente a livello pubico(24, 28, 44, 51, 82, 92, 93). Inoltre, secondo alcuni Autori (93), l’ipertonia del muscolo quadricipite femorale parteciperebbe a questo disequilibrio funzionale, aggravandolo.

Da un punto di vista prettamente anatomico è importante ricordare che il muscolo retto dell’addome (distalmente) ed il lungo adduttore (prossimalmente) si inseriscono su di un aponeurosi comune a livello del periostio della superficie anteriore della branca pubica.

I vettori di forza dei due muscoli sono rivolti in senso diametralmente opposto: verso l’alto, quello del retto femorale e verso il basso quello del lungo adduttore. È quindi facile immaginare come una tendinopatia, di uno dei due gruppi muscolari, possa compromettere la funzionalità dell’altro e causare quella che alcuni Autori correttamente definiscono, come “sindrome retto-adduttoria” (59, 94).

Sempre a livello anatomico è importante ricordare che ben sei, dei sette muscoli adduttori, sono innervati dal nervo otturatore[2], e come la loro origine si situi nelle immediate vicinanze del pube, permettendogli biomeccanicamente di agire come degli adduttori dell’anca in catena cinetica aperta, ma di ricoprire anche un importante ruolo di stabilizzatori in catena cinetica chiusa. Non a caso, gli sportivi affetti da pubalgia, mostrano un forte potenziale muscolare concentrico della muscolatura dell’arto inferiore in toto, ma contestualmente dimostrano un deficit di forza resistente dei muscoli posturali (1, 52).

Inoltre, può essere interessante ricordare come alcuni studi indichino, come ulteriore fattore di rischio d’insorgenza di pubalgia, un rapporto minore all’80% tra forza tensiva dei muscoli adduttori e quella dei muscoli abduttori (52) ed altri ancora, un rapporto deficitario tra forza dei muscoli estensori del busto e muscoli flessori, anche in questo caso il valore normativo di riferimento sarebbe pari a 0.8 (16). Infine, altri Autori (1), includono tra i fattori predisponenti uno scarso equilibrio monopodalico. Tuttavia, la nostra esperienza terapeutica non ci permette di condividere quest’aspetto, essendo peraltro la gestione dell’equilibrio , sia statico, che dinamico, riconducibile ad una modalità di controllo estremamente multifattoriale, che rende difficile ogni tipo di inferenza, ancor più in questo campo specifico.

Il trattamento conservativo

In letteratura non è attualmente possibile ritrovare studi di forte evidenza a riguardo delle terapie conservative da adottarsi nella pubalgia. Attualmente, attraverso una revisione sistematica della letteratura è possibile identificare solamente uno studio di livello di evidenza II (62), il resto degli studi disponibili è di qualità metodologica modesta. Per questa ragione, allo stato attuale della conoscenza in materia, non è possibile tracciare un consensus per ciò che riguarda il trattamento conservativo della pubalgia nell’atleta.

In ogni caso, secondo l’attuale letteratura il trattamento conservativo permette di raggiungere la guarigione completa in circa l’80% dei casi’, ed è comunque raccomandato, come prima scelta terapeutica, dalla maggioranza degli Autori (1, 2, 6, 9, 14, 17, 29, 38, 44, 54, 78, 91, 93, 95; 96, 97). Solamente nel caso di un suo fallimento – sempre ovviamente a patto che il trattamento conservativo effettuato sia stato condotto secondo appropriate tecniche terapeutiche, e protratto per un tempo sufficientemente lungo- occorre considerare la soluzione chirurgica(51). Attualmente il trattamento conservativo è basato su molteplici tipi di approccio che includono la farmacoterapia e la riabilitazione attiva e/o passiva (74, 98). I protocolli riabilitativi sono spesso decisi in base all’esperienza personale del terapista invece che su protocolli standardizzati avvallati da evidenza, che peraltro abbiamo appena ricordato non esistere. Inoltre, dal momento che, come abbiamo più volte sottolineato, la pubalgia può essere causata da una vasta gamma di patologie, è facile intuire come molti casi possano non rispondere positivamente al trattamento conservativo. Alcuni Autori sottolineano l’importanza del fatto che il trattamento conservativo debba essere preceduto da un periodo di riposo di lunghezza variabile(74), a nostro avviso tale concetto è comunque discutibile. Riveste invece un’importanza fondamentale il fatto che il piano di lavoro preveda un’accurata scelta delle esercitazioni ed una loro corretta progressione, in termini d’intensità, frequenza, durata e modalità di somministrazione.

 I tipi di esercizi e la progressione del piano di lavoro 

Per ciò che riguarda la tipologia degli esercizi da proporre nel piano conservativo gli unici tre studi di buona evidenza ritrovabili in letteratura(62, 99,100), considerano gli esercizi di rinforzo muscolare come la principale componente da utilizzare nell’ambito del piano di lavoro. I muscoli target sono rappresentati dai muscoli adduttori ed abduttori, dai muscoli flessori dell’anca e dai muscoli superficiali e profondi dell’addome. La progressione di lavoro si basa inizialmente sulla contrazione isometrica, seguita in una seconda fase dalla contrazione concentrica ed in una terza ed ultima fase da quella eccentrica. L’ultima fase riabilitativa si basa anche sull’inserimento della “functional standing position”, ossia del rinforzo muscolare effettuato in posizioni ed atteggiamenti corporei specifici, o comunque molto simili, a quelli assunti durante l’attività sportiva specifica praticata dall’atleta. Il protocollo conservativo dovrebbe comprendere anche esercizi isocinetici. Holmich et coll. (62) propongono l’adozione di un protocollo di lavoro che, in ogni caso, adotti i seguenti criteri nella progressione del lavoro:

  1. L’assenza di sintomatologia algica durante gli esercizi;
  2. La totale acquisizione del controllo funzionale;
  3. La capacità da parte del paziente di effettuare gli esercizi per il numero di serie e di ripetizioni previste dal piano di lavoro. 

L’evidenza ad oggi riscontrabile in letteratura suggerisce di come gli esercizi di rinforzo muscolare rappresentino una parte imprescindibile di un efficace piano di lavoro. Tuttavia, la variabilità esistente tra i vari protocolli di lavoro proposti dai diversi Autori in termini di gruppi muscolari coinvolti, non permette di trarre conclusioni certe sui muscoli target da includere nel piano di lavoro stesso (62, 99, 100). Al contrario, è possibile trovare una uniformità di vedute per ciò che riguarda la progressione degli esercizi da proporre che, partendo dalla contrazione isometrica, per passare poi a quella concentrica ed eccentrica, si completano nell’introduzione delle functional standing positions sport-specifiche.

L’intensità, la frequenza e la durata degli esercizi. 

A nostra conoscenza in letteratura, ad oggi, si ritrova un solo studio che dia informazioni sufficientemente dettagliate in merito alla frequenza ed alla durata degli esercizi da adottarsi in un piano conservativo (62). In questo studio gli Autori suggeriscono l’adozione di un piano di lavoro della durata di 90’ basato su esercizi di rinforzo della muscolatura dell’anca e di quella addominale, da effettuarsi con frequenza trisettimanale e per una durata totale compresa tra le 8 e le 12 settimane. La durata del trattamento conservativo è in ogni caso compresa tra un minimo di 2-3 settimane (14) ed un massimo di 6 mesi (101).

La maggioranza degli Autori concorda su di una durata media di circa 6 mesi (28, 77, 98, 102, 103, 104, 105). Tuttavia, appare chiaro come la variabilità concernerete la durata di un piano conservativo dipenda inevitabilmente dalle caratteristiche multifattoriali tipiche della pubalgia, come dal suo grado di severità.

Gli interventi terapeutici 

La maggioranza degli studi riferisce dell’utilizzo di uno o più co-interventi terapeutici, che vanno dalle tecniche di manipolazione e massaggio (98, 103, 104, 105), all’utilizzo di FANS(28, 77, 99, 101, 102), sino a quello di farmaci corticosteroidei (59, 106, 107). Alcuni studi, in modo a nostro avviso abbastanza discutibile, considerano come co-interventi terapeutici l’introduzione nel piano di lavoro di jogging, corsa e bicicletta(62, 98, 99, 100). Infine, alcuni Autori sottolineano l’importanza, a nostro avviso fortemente condivisibile, della supervisione di un terapista per ciò che concerne l’esecuzione del piano di lavoro (62, 100, 104).

Trattamento chirurgico 

Come precedentemente discusso, la pubalgia può essere causata da un’ampia gamma di patologie che possono essere responsive al trattamento conservativo. Tuttavia, alcune patologie richiedono un approccio primario di tipo chirurgico, o secondario in caso di fallimento del trattamento conservativo adottato. In questa sezione finale del nostro lavoro descriveremo brevemente le patologie che più frequentemente, appunto, richiedono un approccio chirurgico.

Ernia inguinale 

Gli atleti sono soggetti ad ernia inguinale (diretta ed indiretta) esattamente come il resto della popolazione, se non maggiormente, soprattutto nel caso degli sport di sollevamento. Negli atleti sono tuttavia meno frequenti le ernie dirette (108). L’US dinamica, effettuata tramite manovra provocativa di Valsalva, rappresenta un esame di fondamentale importanza nell’indagine di un ernia, soprattutto in quei casi subdoli in cui la patologia erniaria causi sintomatologia solamente durante l’espletamento dell’attività sportiva e sia, al contrario, clinicamente difficilmente accertabile. Il rischio di complicazioni, rappresentate ad esempio da incarcerazione viscerale e strozzamento, non rappresenta in questo caso un problema reale, in quanto la sintomatologia algica connessa a tali quadri clinici impedirebbe la partecipazione a qualsiasi tipo di attività sportiva. Per questo motivo in molti casi le debolezze della parete posteriore del canale inguinale vengono riparate chirurgicamente (109). Anche se il trattamento chirurgico presenta, nella grande maggioranza dei casi, un outcome positivo, ciò non deve far dimenticare le sempre possibili complicazioni post-chirurgiche. In alcuni casi infatti, vi è la possibilità che l’atleta non riesca a ritornare al precedente livello di prestazione sportiva (59). Alcuni Autori hanno avanzato l’ipotesi che questa variabilità nell’outcome del trattamento chirurgico possa essere ricondotta, seppur occasionalmente e non sistematicamente, ad un aumento più o meno marcato della stabilizzazione della regione pubica dovuto ad un progressivo processo di fibrosi(59). In ogni caso, gli atleti che soffrono di ernia inguinale hanno poche possibilità di successo con il trattamento conservativo (59, 110). Dopo erniorrafia in media l’87% degli atleti presenta un outcome positivo ed è in grado di ritornare, senza restrizioni, alla pratica della propria attività sportiva in un periodo di circa 4 settimane o, talvolta, ancor meno (35, 110, 111).

  

Sport  ernia 

La sport ernia, anche conosciuta con il nome di sportsman’s hernia, athletic hernia, ernia incipiente, rappresenta un problema clinico di una certa difficoltà obiettiva (112). La diagnosi di sport ernia può essere formulata nel momento in cui non si riscontri nessuna ernia inguinale ma vi sia ugualmente, durante l’attività sportiva, un persistente dolore inguinale di verosimile eziologia erniaria. E’ importante ricordare che i sintomi di una sport ernia sono del tutto simili a quelli di un ernia inguinale ma si presentano unicamente nel corso dell’attività sportiva. All’esame clinico ed a quello ultrasonografico  non è riscontrabile una vera e propria ernia, da qui il nome di “sport ernia”. La sport ernia difficilmente è risolvibile senza un intervento chirurgico (11, 113, 114, 115, 116, 117) che dovrebbe essere preso in considerazione nel caso in cui un trattamento conservativo protratto per un periodo compreso tra le 6 e le 8 settimane ha dato esito negativo. In ogni caso, si rende sempre necessaria una scrupolosa valutazione clinica tesa ad escludere altre potenziali fonti della sintomatologia algica (112, 118). Alcuni Autori propongono la riparazione della sport ernia attraverso il posizionamento di una mesh protesica(119, 120). Tale tipo di tecnica chirurgica, definibile come di tipo “tension free”, prevede l’utilizzo di una mesh protesica, non –riassorbibile, biocompatibile ed opportunamente sagomata, che funga da rinforzo meccanico alla parete addominale (119, 120). Tuttavia, la scarsa elasticità delle mesh può indurre la produzione di eccessivo tessuto cicatriziale e quindi provocare complicazioni che si palesano anche a distanza di anni dal posizionamento della mesh stessa. Un ulteriore metodo laparoscopico utilizzato nel caso di sport ernia è l’abbinamento, al posizionamento di mesh, del release inguinale (121). Dopo la riparazione laparoscopica il completo ritorno all’attività sportiva avviene generalmente in un periodo compreso tra le 2 e le 8 settimane (110, 114, 118, 122, 123, 124, 125, 126, 127). Alcuni Autori preferiscono tuttavia una tecnica di riparazione chirurgica inguinale aperta secondo il metodo di Shouldice, di Maloney-darn o di Bassini, con o senza tenotomia del lungo adduttore od ancora una semplice tecnica di “minimal repair” delle zone di debolezza della fascia trasversale (14, 112, 128, 129). Una recente metanalisi (118) indica che il ritorno all’attività sportiva avviene in media in 17.7 settimane nei pazienti sottoposti ad una tecnica chirurgica aperta ed in 6.1 settimane per i pazienti sottoposti a tecnica laparoscopica. Alcuni Autori hanno tuttavia sottolineato alcune complicazioni connesse al posizionamento di mesh, quali infezioni e formazioni di fistole. Tali evenienze talvolta richiedono la rimozione della mesh, oppure possono causare la migrazione della mesh stessa e la sua penetrazione all’interno della vescica o dell’intestino (131, 132). Inoltre, il posizionamento di mesh può causare una reazione da corpo estraneo con decremento della perfusione arteriosa e della temperatura testicolare, accompagnate da azoospermia secondaria(134; 133). E’ interessante ricordare che Muschaweck et al. (112,129), dopo aver in precedenza utilizzato per anni la tecnica di Shouldice repair in anestesia locale, hanno messo a punto nel 2000 una nuova tecnica chirurgica denominata “Minimal Repair Technique”. Lo scopo di questa tecnica è quello di ottenere una stabilizzazione della parete posteriore attraverso una sutura di tipo “tension free” senza l’utilizzo di mesh ma riparando solamente i punti di debolezza della fascia trasversale. Gli Autori hanno adottato la scelta di non utilizzare il posizionamento della mesh allo scopo di permettere all’atleta di ottenere una piena elasticità della zona di riparazione, unitamente ad un’ottimale scorrimento tra i muscoli addominali (112). Secondo i suoi Autori la Minimal Repair Technique, al di là del permettere di evitare il posizionamento della mesh, mostrerebbe altri indubbi vantaggi. Tali benefici includerebbero la possibilità di evitare un anestesia generale, una minor invasività e traumaticità della tecnica chirurgica stessa, ed un minor rischio di complicazioni. Gli Autori inoltre sottolineano come la Minimal Repair Technique permetta un ritorno più rapido all’attività sportiva, se paragonata alle tecniche laparoscopiche o di chirurgia aperta. I dati forniti dagli Autori indicano in 7 giorni il periodo necessario alla ripresa di un moderato training, in 14 giorni la completa risoluzione della sintomatologia algica ed in 18.5 giorni il pieno ritorno all’attività sportiva (112).

La tendinopatia adduttoria 

La tendinopatia adduttoria rappresenta una delle cause più comuni di pubalgia nell’atleta. Infatti, una dei motivi più frequenti dell’insorgenza della pubalgia nello sportivo è costituito dallo squilibrio funzionale tra la muscolatura addominale e quella adduttoria; squilibrio normalmente causato da una muscolatura addominale eccessivamente debole che si contrappone funzionalmente ad una muscolatura adduttoria eccessivamente rigida e tonica (5). La tendinopatia adduttoria interessa con maggior frequenza il tendine del muscolo adduttore lungo o la sua aponeurosi ed è in genere causata da un meccanismo di overuse (135). La maggioranza dei pazienti risponde positivamente al trattamento conservativo sia in caso di tendinopatia da overuse, che di lesione muscolo-tendinea. In letteratura non si ritrovano infatti molti lavori che riportino di fallimenti del trattamento conservativo nel caso di pubalgia causata da tendinopatia adduttoria(136). La tenotomia degli adduttori viene proposta quindi solo nel caso di fallimento del trattamento conservativo (5,135, 136, 137, 138). I criteri che giustificano questo tipo di scelta sono rappresentati da una pregressa e lunga storia di tendinopatia inveterata (che si protragga perlomeno per un periodo compreso tra i 3 ed i 48 mesi, secondo il parere dei diversi Autori), una distinta sintomatologia dolorosa a livello dell’adduttore lungo e la refrattarietà ad ogni tipo di trattamento conservativo. L’intervento prevede il releasing delle fibre legamentose anteriori dell’adduttore lungo, mantenendo intatta la parte carnosa del muscolo nel suo aspetto profondo, minimizzando in tal modo la perdita di forza del muscolo stesso e preservando, nel contempo una “sagoma anatomica” che permetta la possibilità di una futura ricrescita del tendine. I pazienti sottoposti a tenotomia subiscono una riduzione della capacità contrattili dell’adduttore lungo pari a circa il 10%. Tale modesto deficit, di norma, non comporta nessuna limitazione funzionale nell’espletazione del gesto atletico, anche grazie al fatto che l’adduttore breve, il grande adduttore ed il pettineo compensano agevolmente la modesta perdita di forza del lungo adduttore (139). Dopo tenotomia i pazienti ritornano allo sport agonistico dopo un periodo di mediamente 19.8 settimane (range 27-14 settimane) (128, 135, ,136). Il 70.6% (range 90-62%) dei soggetti è in grado di ritornare allo stesso livello prestativo, il 24% (range 32-9%) ritorna all’attività agonistica ma ad un livello minore rispetto al precedente ed il 5% deve abbandonare l’attività sportiva (128, 135, ,136). E’ interessante notare che alcuni Autori associano alla tenotomia una riparazione del pavimento pelvico ( 52, 140). La riparazione chirurgica di lesioni acute dei muscoli adduttori è raramente descritta in letteratura. A nostra conoscenza esiste un solo studio (137) che riporta di tre casi di lesione acuta all’inserzione prossimale dell’adduttore lungo riparata chirurgicamente con suture di ancoraggio e seguita da riabilitazione post-chirurgica. I pazienti descritti in questo studio sono ritornati alla piena pratica sportiva dopo un periodo di rispettivamente 5, 6 e 7 mesi.

 

Osteite pubica 

L’osteite pubica rappresenta un problema medico relativamente comune nell’ambito dei calciatori, dei fondisti e mezzofondisti e dei giocatori di hockey. In termini eziologici il principale fattore di rischio è costituito dall’instabilità sinfisaria(59). Un’instabilità della sinfisi infatti è in grado di causare delle forze di trazione e di taglio, a loro volta responsabili di uno stress e di un disequilibrio cronici a livello dei muscoli inseriti sulla sinfisi pubica. Tutta questa serie di alterazioni biomeccaniche possono esitare in una franca osteite. L’osteite pubica e generalmente una patologia “autolimitante” anche se richiede lunghi tempi di risoluzione, dell’ordine di circa 12 mesi(107). Il trattamento è inizialmente di tipo conservativo e comprende FKT specifica, somministrazione di FANS e/o di corticosteroidi. Storicamente il trattamento chirurgico prevedeva un curettage della sinfisi e l’artrodesi ma, dati gli scarsi risultati e le frequenti complicazioni, questo tipo di trattamento è stato ormai praticamente abbandonato. La tenotomia, abbinata al rinforzo chirurgico della parete addominale, è riservata esclusivamente a quei soggetti che si sono dimostrati non-responsivi al trattamento conservativo (59, 107).

Hockey goalie–baseball pitcher syndrome 

L’Hockey goalie–baseball pitcher syndrome è un’inusuale patologia causata da un erniazione epimiseale o miofasciale del ventre dell’adduttore lungo. L’erniazione avviene alcuni centimetri al di sotto dell’inserzione pubica (140). Anche se l’eziologia di tale erniazione non è perfettamente conosciuta, alcuni Autori la hanno messa in relazione con stress cronici che si verificherebbero durante l’attività sportiva a livello della penetrazione neuro vascolare (141). Nel caso di sintomatologia dolorosa cronica o ricorrente il trattamento è di tipo chirurgico e prevede l’epimisiotomia ed il debridement (142).

Le lesioni acetabolari e periacetabolari 

In generale le patologie dell’anca possono causare pubalgia dovuta a sinovite, osteoartrosi, corpi mobile intra-articolari e lesioni del legamento teres. Le cause più comuni sono rappresentate dalle lesioni del labbro acetabolare (143). La parte antero-superiore del labbro acetabolare appare poco vascolarizzata ed è pertanto particolarmente esposta ad eventi lesivi,  che si possono verificare specialmente durante i movimenti di iperestensione e rotazione esterna (143; 144). Le attività sportive maggiormente a rischio in quest’ambito sono rappresentate dalla danza, dal golf e dal calcio(145). Le lesioni del labbro sono inizialmente trattate conservativamente con riposo e terapia a base di FANS. Tuttavia, i soggetti che lamentano un’algia persistente spesso necessitano di una risoluzione di tipo chirurgico. Le modalità chirurgiche vengono decise in funzione delle anormalità morfologiche femoro-acetabolari del paziente, soprattutto nell’ottica di una prevenzione di un danno cartilagineo e/o dell’insorgenza di un’osteoartrosi (146, 147). L’artroscopia rappresenta sia uno strumento diagnostico che terapeutico, è importante ricordare che l’artroscopia d’anca richiede una curva di apprendimento più lunga rispetto all’artroscopia del ginocchio o della spalla. Durante tale procedura chirurgica, per avere accesso all’articolazione coxo-femorale, è necessario effettuare una distrazione dell’articolazione dell’anca di circa 10-15 mm; questa trazione può essere la causa di severe complicazioni come ad esempio la neuroaprassia (146). Tuttavia, in un alto numero di case series l’artroscopia d’anca ha fornito eccellenti outcome (148, 149, 150). E’anche importante ricordare che spesso il dolore cronico dell’anca è dovuto a fenomeni degenerativi ed a lesioni condrali dell’acetabolo (151, 152).

Anca a scatto interna 

L’anca a scatto interna o coxa saltans, può rappresentare un’occasionale causa di pubalgia essendo la causa di una sintomatologia dolorosa che si estende sulla parte anteriore dell’articolazione coxo-femorale e sulla regione inguinale. Questa patologia è caratterizzata da una tipica  sensazione di “scatto” o “schiocco” che il paziente avverte quando i tendini prossimi all’articolazione dell’anca scorrono al di sopra di sporgenze ossee. L’anca a scatto interna può essere di origine extra-articolare od intra-articolare. L’anca a scatto interna viene definita extra-articolare quando è causata dallo scatto del tendine dell’ileopsoas al di sopra dell’eminenza ileopettinea, in corrispondenza della regione anteriore dell’anca. Lo scivolamento ed il conseguente “scatto” del tendine dell’ileopsoas avviene in genere quando il soggetto passa da una posizione di anca flessa, abdotta e ruotata esternamente ad una posizione estesa, addotta e ruotata internamente. Quando questa situazione si ripete cronicamente puo’ dare origine ad una tendinopatia e ad una borsite dell’ileopsoas (153). L’anca a scatto interna intra-articolare è invece causata da lesioni del labbro acetabolare o da lesioni della cartilagine articolare che possono frapporsi tra la superficie della testa femorale e la superficie dell’acetabolo durante il movimento dell’anca stessa. Una ulteriore causa di anca a scatto interna intra-articolare può essere rappresentata dalla presenza di corpi mobili all’interno dell’articolazione come ad esempio frammenti cartilaginei e/o calcificazioni (153). Il trattamento conservativo consiste nel controllo del dolore attraverso la somministrazione di FANS e/o infiltrazioni di corticosteroidi nel caso di borsite, inoltre è raccomandato effettuare sistematicamente lo stretching del muscolo ileo psoas (153, 154). In caso di fallimento del trattamento conservativo accorre prendere in considerazione l’opzione chirurgica che consiste nel releasing chirurgico del tendine dell’ileopsoas (nel caso di anca a scatto interna extra-articolare), oppure nella riparazione cartilaginea e/o nella rimozione dei corpi mobili nel caso di anca a scatto interna intra-articolare (144).

Osteoma osteoide

L’osteoma osteoide è un tumore benigno osservabile generalmente in soggetti giovani di età compresa tra i 5 ed i 30 anni. Usualmente è di più facile riscontro nelle ossa lunghe, specialmente nel femore e nella tibia; tuttavia, può anche coinvolgere l’osso pubico dove è possibile che generi una sintomatologia pubalgica (59). La sua totale rimozione chirurgica generalmente esita in una completa risoluzione della sintomatologia, mentre una sua rimozione parziale può comportare una ricorrenza dei sintomi (155 156).

Intrappolamento nervoso 

L’innervazione sensitiva e motoria del pube e della parte antero-superiore della coscia è rappresentata da numerose strutture nervose che includono i nervi otturatore, femorale, ilioipogastrico, genitofemorale, ilioinguinale, femorocutaneo laterale. Un intrappolamento di una o più di queste strutture nervose può essere una causa di pubalgia (49, 59, 157). Ad esempio, un intrappolamento del nervo otturatore può essere causato da un inspessimento della fascia del compartimento degli adduttori, oppure da un “effetto massa” provocato da un’ernia otturatoria, od ancora da una frattura pelvica o da una cisti periacetabolare (49, 59, 157). Per utilizzare un altro esempio, il nervo femorale può subire un intrappolamento in seguito ad una procedura chirurgica, come un artroplastica dell’anca, un erniorrafia od una isterectomia addominale (144). Infine, il nervo ilioinguinale e quello genitofemorale sono passibili di intrappolamento a seguito di chirurgia addominale per trauma contusivo o per ipertrofia muscolare (144). Il trattamento della sindrome da intrappolamento nervoso molto spesso richiede una risoluzione chirurgica che consiste nel debridement del tessuto fibrocicatriziale perineurale o nella fasciotomia decompressiva(144).

 

Conclusioni  

La pubalgia dell’atleta rappresenta un interessante, quanto controverso, tema di discussione, soprattutto per ciò che concerne il suo management terapeutico, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo sia di tipo conservativo oppure chirurgico. Occorre soprattutto sottolineare l’estrema importanza in quest’ambito di una corretta e rapida diagnosi. Solo dopo aver acquisito una diagnosi di certezza è infatti possibile instradare il paziente verso il percorso terapeutico per lui maggiormente appropriato. Per questa ragione l’esame clinico dovrebbe essere sempre supportato da un appropriato studio di imaging che possa fornire allo specialista dati utili nella formulazione dell’esatta diagnosi. Il trattamento conservativo, quando raccomandato, deve seguire dei criteri d’intervento chiaramente definiti in relazione ai progressi funzionali fatti registrare dal paziente nel corso del trattamento stesso. Inoltre, i criteri decisionali nell’ambito del trattamento conservativo debbono necessariamente rispettare la sintomatologia algica riferita dal paziente.


[1] Sindrome di Maigne o sindrome della cerniera dorso-lombare: insieme di manifestazioni, isolate od associate, conseguenti alla sofferenza di uno o più segmenti vertebrali nella zona di transizione dorso-lombare (T11-T12 , T12-L1, oppure L1-L2). Tali manifestazioni sono legate ad ipersensibilità dei tessuti dei metameri corrispondenti , che si concretizzano in lombalgie basse di tipo lombo-sacrale, dolori addominali bassi di tipo pseudo-viscerale, dolori pelvici, pseudo-coxalgie e pseudo-pubalgie (vedi comunque il precedente riquadro di approfondimento specifico).

[2] I muscoli adduttori sono sette: nel piano superficiale si trovano il m. pettineo, l’adduttore lungo ed il m. gracile, nel secondo piano si trovano l’adduttore breve e nel piano profondo l’adduttore grande. Il m. pettineo è innervato dal nervo femorale e dal nervo otturatore, il m. grande adduttore dal nervo otturatore o dal nervo ischiatico e dal nervo tibiale, l’adduttore lungo, l’adduttore breve ed il gracile sono innervati dal solo nervo otturatore. Nella regione glutea i muscoli che presentano un’azione adduttoria sono due: il m. otturatore esterno, anch’esso innervato dal nervo otturatore, ed il muscolo quadrato del femore, innervato dal nervo ischiatico e dal nervo del muscolo del quadrato del femore.